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Nell'origine del pensiero occidentale, e solo lì, sta il segreto di principi realmente universali. E si rivelano tali non perché debbano imporsi ad altre culture escludendo ogni loro specificità: ma perché conservano i criteri per poter apprezzare ogni tipo di diversità ed entrare in dialogo con ogni tipo di visione del mondo. Se tali principi vengono dimenticati, allora molti fenomeni dell'epoca contemporanea diventano difficilmente comprensibili. L'insieme delle trasformazioni radicali nelle relazioni tra popoli e nazioni rischia di essere costantemente interpretato come scontro tra civiltà, lotta tra interessi e poteri forti, oppure come tramonto inevitabile di conoscenze e valori che hanno fin qui guidato gran parte dell'umanità. Anche il diritto è coinvolto nella vicenda dell'Occidente. Inizialmente era stato pensato come lo strumento per risolvere, attraverso il rito processuale, controversie tra posizioni apparentemente inconciliabili, nella convinzione che la legge fosse insufficiente a fornire da sola un mezzo di composizione tra pretese opposte. Questa natura originaria del diritto è stata progressivamente dimenticata: si è finito per identificare il diritto con la norma, intesa quale espressione del potere politico. E si è finito così per non comprendere la natura dei vari imperativi che, provenendo da molte fonti nelle forme più varie, strutturano la società: molti dei quali sono utili, ma nessuno sufficiente, a compiere l'ineliminabile missione "conciliatrice" del diritto. La filosofia non può certo indicare a governanti e potenti la via per risolvere i problemi della complessità del mondo attuale; può però - più umilmente, ma anche esclusivamente - aiutare a pensare il futuro riflettendo sull'origine dei fenomeni che compongono il presente.